Costanza Doria (Genova, 21.06.1611- Genova, 1.12.1681) Nel 1626 la ragione di famiglia spinge all’unione tra due dei nipoti di Giovanni Andrea Doria, nipote ed erede del grande ammiraglio Andrea, e Zenobia Del Carretto: Costanza, figlia di Andrea II principe di Melfi, e Giovanni Andrea I Del Carretto, figlio di Carlo duca di Tursi. Scelta dal suocero, che in segno di stima nei suoi confronti ha accettato una dote inferiore a quelle corrisposte alle sorelle di lei, la sposa quindicenne rimane vedova con un figlio a diciassette anni, a seguito della morte del marito nella battaglia di Viñaroz. Costanza dedicherà tutta la vita a risanare le precarie fortune della famiglia, nell’interesse del figlio Carlo e, dopo la prematura morte di lui nel 1665, per il bene dei quattro nipoti che le sono rimasti, amministrandone i beni, coprendo le spese di rappresentanza della casata con le proprie spettanze, apportando migliorie al palazzo di Strada Nuova (oggi Palazzo Tursi). Sacrifici ai quali darà ampio spazio nel suo testamento, per prevenire possibili contestazioni contro il suo operato da parte dei nipoti, in particolare dall’erede Giovanni Andrea, ma anche per affermare con orgoglio i suoi meriti nei confronti degli avi nel cui rispetto è chiaramente stata cresciuta: «La sorte che hebbi di entrare in questa Casa fu incontrar le convenienze di quella dove nacqui, poiché la propria non vi capiva per essere questa tanto gravata di debiti, con socero e socera, e dieci cognati, e con inferior dote di quella delle mie sorelle per la finezza del Duca di Tursi mio signore e zio che solo stimò la mia persona senza mirare a dote, con che non ignorando io lo stato di questa, non hebbi altra mira che il procurar si avanzassero tutte le spese per non essere di peso mentre non havevo dote da poterlo supplire, ma solo quella che era sufficiente per non aggiungerli carrico e fu così breve questo tempo che dalli quindici anni che mi maritai, restai vedova de dieci sette, e rimanendo patrona di quello haveva non più dalla casa un soldo e per ricompensare la semplice tavola che mio zio mi dava, e mantenermi nella sua gratia, et avanzarli la passione, providdi a mio figlio per quindici anni continui con tutte le spese per la sua recamera, e lo trattai di maniera che suo avo non hebbe mai occasione di farli altra spesa che il puro vitto. Di più in tutte le congiunture di hospedaggi andava io supplendo con quello teneva della mia recamera che fu copiosissima alli regali che bisognava fare. Tutto questo dico per giustificar le mie attioni con li pupilli che non hanno età per osservare le mie operationi e per quello potessi essere tacciata di non havere avanzato quelo si poteva e se si considerarà le liti che ho difeso, li debiti che ho pagato accostandosi la somma ad un milione di lire e non arrivando a lire centomila la robba venduta, come consta dalli libri, il desamparo della casa e la necessità di mantenere li amici, vederanno che ho compito più per la Casa che per me stessa; né potevo far di meno, mentre tutti li antenati di essa lo hanno confidato nelle mie mani, acciò si mantenesse quello che loro hanno saputo acquistare con tanta gloria, e guidandomi sempre con li lor dettami ho procurato non seppellire i loro meriti» |
ASGe, Notai antichi, 8527, s.n.
Testamento di Costanza Doria del Carretto, principessa di Avella, 1675 Anni dopo aver dettato al notaio Girolamo Scotto le sue volontà (31 luglio 1668), Costanza Doria fa insinuare nei suoi atti, con le dovute solennità legali e statutarie, un testamento segreto, con firma autografa e sigilli di ceralacca. Desidera essere inumata nella sepoltura delle madri carmelitane scalze di Gesù Maria, ma senza essere tolta dalla cassa (per alterarle meno ... non essendo degna di aggregarmi a quelle sante ossa, bastandomi che le mie siano depositate dove ho sempre tenuto il core). Il funerale dovrà essere officiato senza ostentazione, all’alba, con la presenza di sei preti della parrocchia e sei di San Francesco di Castelletto. In suo suffragio dovranno essere celebrate 15.000 messe, in diversi luoghi santi delle città di Genova e Savona e a Loano, Voltri e Chiavari, oltre a due messe quotidiane perpetue. I suoi creditori, che spero doveranno essere di poche somme, dovranno essere pagati subito. Costanza istituisce numerosi vitalizi – da 300 a 350 lire annue – per le sue sei create (dame di compagnia?), finché continueranno a vivere nella sua casa, per il suo confessore (500 lire), per suor Costanza Maddalena Ferro monaca di S. Silvestro di Pisa (100) e Geronimo Borone (200). Per tali spese, e per gli altri lasciti, sarà impiegato il residuo della sua legittima e dote, che ammonta ormai a oltre 20.000 ducati, di cui è creditrice nei confronti del principe Doria, suo pronipote, e che dovrà essere investito in Monti di Roma. Lascia alle sue create anche i mobili di loro uso, così di camera come di tavola e cocina, e tutti i mobili di suo uso personale (cioè le mie vesti, biancarie da lecto e da tavola e robbe di mio uso et altri mobili come seggie, straponte, letti et altro di conditione inferiore), i quadri che decorano le loro stanze e quelli di soggetto religioso che si trovano nelle sue, oltre ad alcune statuette (bambini di Lucca). Dispone che le migliorie da lei apportate al palazzo di Strada Nuova – le mezze arie e siti sotto la chiesa e coro di S. Francesco, et anche li siti superiori al mio quarto ... le due cappelle quali ho adornate di statue di marmo – siano comprese nel fedecomesso istituito dal suo avo Giovanni Andrea Doria con atto del notaio Giovanni Battista Cangialanza. Altri lasciti sono istituiti una volta tantum per due protette della sua defunta zia, che continueranno a godere anche del mantenimento; per il personale di servizio – le donne che servono le sue create (200 lire), i paggi (500), i portieri (200) e gli staffieri (100) –; per 12 creati (valletti?) maschi (da 100 a 2000) se al tempo della mia morte si troveranno in questa casa attualmente servendo, e non in altra forma; per Paolo Igini, Margherita Scala, Violante Scala e Antonio de la Puente (1000 lire); per i medici Lorenzo Rivarola e Onofrio Bollini (200). Al figlio dell’uditore Giovanni Michele Casoni, da lei tenuto a battesimo, destina 1000 lire dichiarandosi a pieno sodisfatta della fedeltà, bona legge e valore del detto auditore in difendere le cause e gl’interessi della Casa. Al segretario don Giulio Marchini, che ha servito per anni lei e il figlio con quella maggior fedeltà, integrità e puntualità che ho potuto desiderare, rilascia quietanza per tutto il suo operato e destina un lascito di 10.000 lire con diritto di subentro al nipote Fabio Marchini e ai suoi eredi, oltre al letto fornito di tutto punto di trapunte, coperte, due paia di lenzuola, cortinaggio e torchio, e quelli instrumenti che egli vorrà di musica e una fornitura per la messa di camiso, amito, pianeta, non le migliori ma di sua soddisfazione, un messale e il calice d’argento il più piccolo. Al notaio rogante lascia 400 lire, con obbligo di fornire tre copie autentiche del testamento per l’erede, i fedecommissari e le Carmelitane Scalze, con che non possa pretendere altra cosa. Un lascito di 600 lire sarà destinato alle quattro Opere Pie: l’Ospedale grande (100), gli Incurabili (300), l’Ufficio dei poveri (100), il Magistrato per il riscatto degli schiavi (100). Altri beneficeranno la Casa di Nostra Signora di Misericordia di Savona (1000 lire), le Carmelitane Scalze dello Spirito di Savona (4000), i Carmelitani Scalzi del convento del suo confessore (2000), S. Francesco di Castelletto (1000), gli agostiniani scalzi di S. Nicola (500). Destina al pagamento di tutti i legati, oltre che dei debiti e del funerale, da effettuare entro un anno, tutti i suoi argenti, gioie e suppellettili, riservandosi di redigere una lista a parte per i suoi parenti. Lascia al nipote Giovanni Andrea del Carretto, duca di Tursi (dispiacendomi che la mia recamera non sia più ricca per poter lasciarli molto), la gioia grande e la brasera d’argento lavorato dal fiorentino, con vincolo di fedecommesso ai successori in perpetuo e con disposizione che non si possino mai impegnare nè imprestare ad alcuno e che la gioia non possa mai essere rimossa dalla sua incastonatura. Il nipote Giovanni Andrea Doria sarà erede del resto dei suoi beni e dei crediti di ogni genere, compreso quello per la sua dote – per 48.000 scudi d’argento stampa di Genova, come disposto dalla sentenza della gran corte della Vicaria di Napoli del 1666, oltre agli interessi non riscossi –, e delle azioni contro il feudo di Giffoni, a condizione che su detti beni paghi la legittima al fratello Luigi e una dote di 10.000 pezzi da 8 reali per la sorella Costanza Teresa e di 6.000 per la sorella Laura, maritandosi al secolo solamente, di 4000 e 2000 se decideranno di prendere i voti. Se invece Giovanni Andrea pretendesse la sua legittima, non pagasse il dovuto ai fratelli o muovesse altre pretese contro i beni di Costanza (la mia hazenda), a motivo dell’amministrazione da lei fatta o per altro, subentreranno nell’eredità il fratello Luigi o le sorelle Costanza Teresa o Laura, oppure – qualora anche questi rifiutassero – l’Ospedale degli Incurabili. Il difficile rapporto con Giovanni Andrea, che dovrà subentrare comunque nelle sue quote del feudo di Giffoni, appare evidente nella lunga digressione autobiografica che Costanza inserisce nel suo testamento, ricordando di essersi dedicata completamente a risanare le finanze della famiglia del marito, Giovanni Andrea Doria del Carretto, figlio di Carlo I duca di Tursi, tanto gravata di debiti, con socero e socera, e dieci cognati, dopo essere rimasta vedova a 17 anni, e di aver fatto sempre gli interessi dei nipoti, dopo la morte prematura del suo unico figlio. Un sacrificio che ha assunto su di sé per il senso di responsabilità nei confronti della Casa dei Doria, della sua storia e della gloria degli avi che avevano costituito quel patrimonio che le era stato affidato. |